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Che impatto avrà la Brexit sui venditori Amazon?

A partire dallo scorso 31 gennaio 2020 il Regno Unito ha deciso di cessare il suo status di membro dell’Unione Europea. E così, in questi mesi, si sta verificando un graduale distacco di Inghilterra, Scozia, Galles e Irlanda del Nord dall’ambito comunitario, quale conseguenza dell’esito del noto referendum del 2016.

Ad ogni modo, nonostante l’addio risalga a circa nove mesi fa, in realtà le conseguenze di un simile abbandono non si manifesteranno pienamente prima del 1 gennaio 2021. Durante questo periodo, il Regno Unito continuerà a far parte dell’Unione doganale e del Mercato unico, con poche o nulle conseguenze per i venditori italiani che desiderano cedere i propri beni nel mercato d’oltre Manica.

Ma che cosa cambierà tra breve per chi vende prodotti nel Regno Unito?

Come si dovranno comportare gli imprenditori italiani che vendono su Amazon UK?

Le cose saranno più semplici o più complicate?

Cerchiamo di fare un po’ di chiarezza su questo tema, premettendo che ancora per qualche settimana dovremo utilizzare il condizionale su quel che potrebbe accadere, valutata l’esistenza di diversi margini di trattativa per poter disciplinare, in concretezza, i rapporti commerciali tra Bruxelles e Londra dal prossimo anno.

Vendere nel Regno Unito su Amazon: le regole fino al 31 dicembre 2020

Il fatto che vi sia così tanta attenzione sugli effetti della Brexit da parte dei venditori italiani non è certo sorprendente: il rapporto commerciale tra il nostro Paese e il Regno Unito è sempre stato piuttosto forte e attivo, e dalla moda all’arredamento sono numerosi i settori del mercato britannico che hanno potuto beneficiare di una folta presenza di imprenditori italiani.

Il punto di partenza della nostra riflessione odierna è tuttavia relativamente rassicurante, almeno nel brevissimo termine: da qui fino al 31 dicembre 2020, come intuibile da quanto sopra abbiamo introdotto, per chi vende su Amazon nel Regno Unito, pur avendo la sede del proprio business in Italia, non cambia nulla.

Le cose sono però diverse se ci si espone un po’ più in là dell’orizzonte, e si cerca di valutare che cosa potrebbe accadere dal 1 gennaio 2021 in poi.

Previsioni 2021: Come potrebbero cambiare le regole per la vendita su Amazon UK

Fin qui sopra, gli elementi “certi” e assodati. Se però si guarda al 2021, lo scenario rischia di divenire molto più opaco.

Se infatti l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea dovesse avvenire senza accordo, ovvero con la concretizzazione di uno scenario “no deal”, il problema più importante per gli imprenditori italiani sarebbe quello di affrontare una lunga serie di incognite tecniche e sostanziali, visto e considerato che la loro attività di vendita non potrebbe più qualificarsi come una “semplice” esportazione inquadrata nella normativa europea, ma finirebbe con l’esser disciplinata con le regole dell’Organizzazione mondiale del commercio, valutato che il Regno Unito “retrocederebbe” allo status di Paese terzo.

Il rischio di dazi e maggiore IVA

Per quanto concerne poi i principali timori che gli imprenditori italiani stanno manifestando nei confronti di un potenziale no deal, il primo e più rilevante è certamente costituito dalla paura di un incremento dei dazi e dell’IVA.

L’applicazione dell’IVA alle merci oggetto di esportazione, e l’eventuale introduzione di dazi, comporterebbe evidentemente un maggiore costo finale per l’acquirente del Regno Unito. Il quale, visto l’aumento del prezzo, potrebbe anche rinunciare ad acquistare quel determinato tipo di prodotto, preferendone magari uno locale.

In questo caso, un modo per potersi porre al riparo da un simile scenario è legato a un faticoso e dispendioso contenimento dei propri margini, abbassando il prezzo di vendita finale per il consumatore del Regno Unito. Oppure – ed è questa evidentemente la strada preferibile – puntare più consapevolmente verso una maggiore tipicizzazione della merce, attribuendo al proprio determinato bene una serie di caratteristiche che lo rendano unico rispetto alla concorrenza, tale da spingere il consumatore a fronteggiare un extra costo (implicito o meno) per aggiudicarselo.

L’incremento della burocrazia

L’altro rischio è intuibilmente quello dell’incremento della burocrazia, ovvero dal sovrapporsi di leggi, direttive e circolari, che andrebbero a rendere sempre più complicato il carico burocratico (di per sé non marginale) che grava sulle attività produttive italiane.

Il costo della burocrazia andrebbe dunque ad aggiungersi a quello presumibile del fisco, generando un mix nocivo per gli esportatori tricolori.

Le nostre opinioni

Valutati i rischi per gli imprenditori italiani che vendono nel mercato del Regno Unito, è evidente che l’auspicio di tutti coloro che fanno business oltre Manica sia quello che venga trovato un accordo che permetta una uscita ordinata del Regno Unito dall’Unione Europea, privo di pregiudizi per gli imprenditori italiani che nel corso degli anni hanno acquisito e consolidato una posizione di rilievo su tale mercato di destinazione.

Considerato che non converrebbe a nessuno andare incontro a una “hard brexit”, l’impressione è che nei prossimi giorni i negoziati con il Regno Unito per un accordo di libero scambio che possa disciplinare le relazioni dopo la Brexit, si intensificheranno per poter arrivare a un’intesa nel brevissimo termine.

Certo, i temi da sbrogliare sono ancora numerosi, e non semplici da dirimere. Si pensi al fatto che alcuni Paesi europei (come la Francia) non sembrano cedere sulla necessità che il Regno Unito rispetti le regole europee sugli aiuti di Stato per avere accesso al mercato europeo con accordi di libero scambio a zero dazi e zero quote.

Al di là di ciò, esiste ancora tempo utile per poter lavorare allo scenario “migliore”. Ma c’è anche la reale capacità e volontà delle parti?

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